Nella sede newyorkese della prestigiosa casa d’asta Christie’s il 25 ottobre ha battuto per la prima volta un’opera d’arte creata dall’intelligenza artificiale. La performance de Il ritratto di Edmond Belamy, frutto dell’intuizione del collettivo francese Obvious, composto da Hugo Caselles-DupréPierre Fautrel e Gauthier Vernier, e firmato dall’algoritmo che l’ha generato, è andata oltre ogni più ottimistica previsione. La base d’asta, infatti, oscillava tra i 7 e i 10mila dollari, ma la battaglia per aggiudicarsi il capolavoro è stata agguerrita, tanto da far lievitare il prezzo fino alla cifra, inaspettata, di 432.500 dollari, circa 380.200 euro.

Come funziona

L’opera prodotta è stata prodotta da un’Intelligenza Artificiale. La tecnologia impiegata si chiama GAN, acronimo di Generative Adversarial Network, pensata nel 2014 da Ian Goodfellow. Partendo da queste conoscenze, il collettivo francese Obvious, ha creato l’algoritmo “autore” del dipinto addestrando la IA elaborando 15 mila immagini dipinte tra il XIV e il XX secolo. L’algoritmo è basato su un «Generatore» che crea la nuova immagine e un «Discriminatore» che fa da antagonista tentando di discriminare quale immagine è opera di un essere umano e quale dell’algoritmo. «L’obiettivo è di far pensare al “Discriminatore” che le nuove immagini sono veri ritratti. E’ con questa tecnica che è stato raggiunto questo.

Il quadro

Il ritratto sembra essere risalente a secoli fa, ma non è così. Il dipinto ricorda le fattezze di un uomo francese del passato, dai contorni poco definiti e con una giacca nera. Rimanda molto alla cultura ritrattistica tradizionale e non dista molto da un dipinto che potremmo vedere al Museo del Louvre oppure agli Uffizi. Invece l’opera presenta alcune caratteristiche singolari: è realizzato da un algoritmo. Il dipinto, che si intitola Ritratto di Edmond Belamy  fa parte di un ciclo di undici ritratti di un’ipotetica famiglia dal nome Belamy. Il cognome non giunge a caso: è un omaggio all’inventore della GAN, Ian Goodfellow, il cui nome, tradotto grossolanamente, significa proprio “buon amico”, cioè Belamy. Non è la prima volta che uno di questi dipinti viene messo in vendita: lo scorso febbraio il collezionista francese Nicolas Laugero-Lassere ha acquistato Le Comte de Belamy, un “parente” di Edmond.

Le critiche

Il progetto non è stato esente da critiche, tutte mosse nei confronti del collettivo che ha creato l’“algoritmo pittore”. C’è chi dice “ma voi non siete artisti”, altri affermano che “questa non è arte perché manca una componente più personale e un messaggio”. “Noi ci definiamo artisti concettuali, amici e ricercatori”, rispondono gli Obvious in un’intervista a Christie’s. “Abbiamo sottoposto le creazioni a più persone chiedendo loro di dare un giudizio confrontando diversi lavori: alcuni prodotti da un artista reale, altri invece dall’algoritmo. Il risultato? Non si sono accorti della differenza e anzi, in alcuni casi, hanno preferito opere prodotte artificialmente”.

Il collettivo

Hugo, Pierre e Gauthier si definiscono come un gruppo di amici, artisti e ricercatori con la passione per le implicazioni sociali e filosofiche legate all’intelligenza artificiale. Il loro progetto è iniziato nel 2017 quando s’imbattono nei GAN, algoritmi di apprendimento automatico, che producono immagini. “Il nostro approccio”, raccontano dalla loro pagina Facebook, “invita tutti gli amanti dell’arte a considerare e valutare le somiglianze e le distinzioni tra la meccanica ancora da comprendere all’interno del cervello umano, come il processo creativo non replicabile, e quelli di un algoritmo. Ora, con il nostro processo l’artista fa un passo indietro e l’opera d’arte sarà interamente realizzata da un’intelligenza artificiale. E voi sapreste capire la differenza?”.