“Privacy” uno dei termini più controversi nella storia della nostra modernità.
Nato come “diritto ad essere lasciato solo” tradotto dall’espressione statunitense “Right to be let alone” del lontano 1890, doveva essere la sintetizzazione di un principio afferente alla tutela della propria vita privata, sia essa intesa nella sua concreta realizzazione, sia essa considerata il risvolto dell’autodeterminazione dell’individuo.

FB-Cambridge-Analytica
FB-Cambridge-Analytica

Ognuno di noi ha il diritto di decidere, infatti, in quali casi e per quale ragione è possibile concedere i propri dati o le proprie informazioni, ammesso che abbia deciso in tal senso; e quando invece è costretto a farlo, ad esempio su richiesta di un’autorità, ha il diritto di sapere per quale causa, per quanto tempo e in quale database essi verranno registrati.

Non è passato molto tempo dalle scottanti rivelazioni di Edward Snowden ai danni della National Security Agency e della Cia, che già si urla al nuovo scandalo “Cambridge Analytica”: un’altra delle violazioni della privacy più gravi, nel novero di quelle compiute ai danni dell’uomo nella storia dell’umanità.

Nel caso in questione, Steve Bannon, ex consigliere del Presidente Usa Donald Trump, è stato accusato di aver messo in moto una macchina diabolico infernale, in grado di captare illecitamente i dati sensibili di oltre 50 milioni di profili Facebook, al solo scopo di studiare prima e influenzare poi le tendenze politiche degli elettori.

L’inchiesta guidata da “The Guardian”, “New York Times” e “Observer”, ha messo in luce rivelazioni agghiaccianti, fornite da un informatore che ha raccontato dettagli tecnici su come la società “Cambridge Analytica”, guidata dallo stesso Bannon, ma di proprietà Robert Mercer, abbia iniziato a raccogliere informazioni sugli utenti di Facebook, senza alcuna autorizzazione già dal 2014.

I dati raccolti servivano allo studio delle inclinazioni politiche degli utenti per giungere poi alla creazione di un software che, attraverso appositi banner politico-pubblicitari, fosse in grado di influenzare le scelte di voto.

Una manipolazione, dunque, oltre il furto di dati e informazioni, che ha fatto crollare anche il super-capo del social più famoso al mondo: Mark Zuckerberg.
Dopo aver ammesso le proprie colpe, infatti, il titolare della piattaforma Facebook ha annunciato di aver attivato delle misure di arginazione del fenomeno lesivo della privacy, per la salvaguardia dei suoi milioni di utenti in tutto il mondo.

E chissà se questa inversione di marcia basterà davvero a rassicurarci.

I fatti accaduti negli ultimi giorni testimoniano un aggressivo ribaltamento della visione di internet: quel che una volta rappresentava un perfetto strumento di democrazia e libertà d’espressione; oggi è diventata una zona di sorveglianza di massa, lesiva e denigratoria, senza precedenti.

Si apre così un dibattito che forse non si concluderà mai; un confronto e uno scontro tra coloro che non si sentono a proprio agio nel vortice delle intercettazioni e coloro che le operano nella propria zona di comfort.

Il sentimento comune di chi viene strappato a parte della propria vita privata, senza averlo deciso, è che in fondo in questa violazione della propria privacy non c’è nulla di male; ogni utente agisce nella convinzione che non c’è niente che valga la pena tutelare navigando in internet o utilizzando un social, quando non si ha nulla da nascondere.

Come se il rispetto delle regole significasse autorizzazione implicita al furto della vostra identità digitale.

Eppure, ve ne guardate bene dal rendere note le vostre password o dal mostrare al mondo intero cosa cercate su Google e perché.

Solo una coscienza lucida e collettiva sulla tutela del proprio diritto alla privacy, soppianta il falso senso di sicurezza che si avverte dai colossi del social media.

Quando vi viene offerto un servizio gratuito non è per eccesso di bontà, è perché il prodotto siete voi. Voi e i vostri dati.

Ma le vostre informazioni non sono assogettabili a termini o condizioni, così come non sono assogettabili a termini o condizioni gli esseri umani, dai quali le informazioni provengono.

Perciò, prima di registrarvi su un social network o di immettere i vostri dati ovunque vi venga richiesto fate mente locale su ciò che potreste perdere e per quanto tempo; chè a volte non si può più tornare indietro.

Se volete un consiglio visitate il sito https://www.eff.org//, farete sapere a Google che tenete ai vostri dati quanto tenete a voi stessi.

Si tratta del sito istituito dalla “Electronic Frontier Foundation” (acr. EFF), una fondazione creata da un team di studiosi che nel tempo è diventata la più importante organizzazione no profit sul tema della tutela della privacy digitale, della libertà di parola e dell’innovazione.

Semplicemente cliccando sulla loro pagina potrete trovare consigli, dossier, studi e articoli, utilissimi per capire cosa è meglio fare per difendere i vostri dati e creare la vostra zona di comfort, lontano da ingerenze e intromissioni.

E’ in questo senso di riservatezza che risiede il vostro diritto alla privacy: perché anche se non avete nulla da nascondere, e navigando in internet non fate nulla di male, sicuramente avete tutto da proteggere!